Il cinema secondo Christian Petzold: “I fortunati non sono mai gli eroi: lo sono gli antipatici e i disperati”

Il regista tedesco presenta al Torino Film Festival Il cielo brucia, già Orso d’argento alla Berlinale 2023. "Dopo Undine ho detto che volevo fare una trilogia sugli elementi - l'acqua, l'aria e la terra - solo per mettermi sotto pressione. In realtà non mi interessa affatto. Ora lavoro a qualcosa di completamente diverso". L'intervista con THR Roma

“Credo che per scaldarmi un po’ camminerò per la stanza come Napoleone Bonaparte”. Christian Petzold, avvolto in un lungo cappotto nero che sarebbe piaciuto all’imperatore francese, scherza sulle rigide temperature torinesi. Il suo nuovo film, Il cielo brucia, Orso d’argento gran premio della giuria alla Berlinale 2023, è presentato in anteprima al Torino Film Festival prima di arrivare nei nostri cinema il 30 novembre con Wanted.

La storia di due giovani amici berlinesi, Felix (Langston Uibel) e Leon (Thomas Schubert) che si ritrovano a trascorrere l’estate nella casa delle vacanze del primo isolata in un bosco sulle coste del Mar Baltico. Lì Leon ha intenzione di terminare – a fatica – il suo secondo romanzo. Ma quando i due scoprono che la casa è già abitata da Nadja (Paula Beer) i loro piani subiscono un’inevitabile cambiamento mentre un grande incendio boschivo minaccia la zona circostante.

Thomas Schubert e Paula Beer in una scena di Il cielo brucia

Thomas Schubert e Paula Beer in una scena di Il cielo brucia

Leon è molto egocentrico. L’ha divertita lavorare su un personaggio del genere, che rischiava anche di risultare antipatico al pubblico?

Sì! L’attore che lo ha interpretato, Thomas Schubert, all’inizio ha avuto paura che potesse non essere amato. E a volte può essere terribile interpretare un ruolo in cui si è consapevoli di non esserlo. Ma gli ho detto che nella storia del cinema sono proprio gli antipatici, i disperati o i solitari a interessarci. I fortunati, quelli che hanno un numero incredibile di amici, che possono affrontare il mondo, non saranno mai eroi. Sono sempre le persone disperate, a volte scontrose e sgradevoli quelle che ci incuriosiscono.

Il cielo brucia è il secondo capitolo di una trilogia. In Undine ha scelto l’acqua, qui il fuoco. Cosa verrà dopo?

Devo confessare che non sono del tutto dissimile dal protagonista del mio film. Anch’io sono un protestante che parla sempre di lavoro (ride, ndr)!. Dopo aver usato l’elemento dell’acqua del romanticismo tedesco in Undine, affermai che avrei fatto altri due film su altrettanti elementi. Solo che ora non mi interessano più… ho detto che volevo fare tre film solo per mettermi sotto pressione. Al momento lavoro su qualcosa di completamente diverso. Ma chissà, forse un giorno farò un film sul terzo elemento che avevo in mente: l’aria.

Parlando di aria, anche il vento gioca un ruolo importante nel film.

Ho visto una masterclass di Agnès Varda in cui dice che la spiaggia è il luogo in cui si incontrano gli elementi: l’acqua, l’aria e la terra. E l’ho trovato in qualche modo bellissimo. Inoltre quel luogo ha avuto un ruolo importante anche nel cinema francese. Penso ai film di Éric Rohmer. Così ho pensato tra me e me: “In effetti, con Il cielo brucia è tutto finito. Non ho bisogno di fare un film su un altro elemento (ride, ndr)”.

Una scena del film

Una scena del film

C’è un lavoro interessante sul suono. Evoca la vita e la morte attraverso elementi naturali e suoni minacciosi.

Quando i miei figli erano bambini, dovevo sempre leggergli il loro libro preferito. Io lo odiavo. Si chiamava Lars, l’orso polare. Dovevo leggerlo ogni sera. Non so perché pensassero fosse così bello. Leggendolo venne fuori una parola: Totenstille (silenzio tombale, ndr). Lars è seduto su una massa di ghiaccio galleggiante e all’improvviso intorno a lui c’è esattamente quel silenzio lì. E non sono riuscito a spiegare ai miei figli di cosa si trattasse esattamente. Ho detto che il silenzio è quando nessuno dice niente. Ma il silenzio tombale è quando non si sente nulla. Non potevano immaginarlo.

Poi, nel 2009, siamo stati insieme in Turchia. C’era un incendio boschivo che ha bruciato tutto. Quando siamo scesi dall’auto non si sentiva più nulla. Il vento si era impigliato nelle cime degli alberi. Non si sentivano insetti, non c’erano più animali. Quel silenzio era così folle. L’ho trovato davvero spaventoso. Uno dei miei figli all’improvviso ha detto: “È un silenzio di tomba?”. Ed è quello che ho pensato tra me e me: “È così che deve essere quando inserirò il ricordo nel film”.

Leon ha un grande problema nell’accettare giudizi sul suo lavoro. Lei ha iniziato come critico cinematografico, giudicando le opere altrui, poi è diventato regista. Il che comporta confrontarsi con le critiche. Come le vive?

C’è un libro di François Truffaut, I film della mia vita, in cui sono stampate tutte le sue recensioni scritte prima di diventare regista . Ma alcune sono state scritte anche dopo, quando era ormai un cineasta. Ha deciso di includere solo quelle positive. Non è corretto scrivere recensioni negative quando si fanno film. Ho scritto recensioni brutali quando non ero regista. E mi vergogno ancora oggi. Da quando ho iniziato a fare film, scrivo solo delle cose che mi piacciono.

Paula Beer in una scena de Il cielo brucia

Paula Beer in una scena de Il cielo brucia

Leon è totalmente concentrato su se stesso che non vede nulla di ciò che accade intorno a lui. Una metafora dei nostri tempi?

Conosco persone così. E in alcune anche fasi della mia vita lo sono stato anche io. Penso si debba sempre avere esperienza di ciò che si progetta o scrive. A volte è la mia, a volte è un’esperienza appresa o osservata. Ma questa volta non volevo dire ai giovani: “Siete così! State sempre sui social network. Vi preoccupate solo di voi stessi”. Perché non credo affatto sia vero. Penso che questa generazione sia molto più aperta di quella precedente. Ricordo quando ero studente. Era la metà degli anni Settanta ed ero circondato da gruppi comunisti.

E si potrebbe dire che questi gruppi, per i quali avevo la massima simpatia, erano in realtà gruppi che non vedevano più nulla del mondo. Non sperimentavano più niente. Erano in cortocircuito. Credo che il problema sia questo. Mi sono sempre chiesto cosa sia successo all’Italia. Una volta era il laboratorio della sinistra. La risposta collettiva è che non siamo del tutto innocenti. C’è stata una mancanza di esperienza ed egocentrismo nella sinistra degli anni Settanta.

Nel film c’è un brano, In my Mind, dal ritmo ipnotico. L’ha scelto perché rappresenta anche l’ossessione di Leon per Nadja ancor prima di incontrarla?

Ogni anno c’è una cosiddetta hit estiva. La maggior parte sono canzoni di merda, bisogna proprio dirlo (ride, ndr). Vengono da qualche discoteca di Maiorca o Rimini. Sono terribili. Ma a volte ci sono brani fantastici. E avevo immaginato che questa canzone dei Wallners, In My Mind, potesse rappresentare la canzone dell’estate dei protagonisti. Non è la musica del film. È la loro canzone. Leo sogna ascoltandola. Sogna se stesso in qualcosa in cui non vuole entrare: non vuole innamorarsi, anche se sente che gli manca qualcosa.